sabato 5 gennaio 2008

'NDRANGHETA ED ORDINAMENTO GIUDIZIARIO Intervista a Nicola Gratteri


Intervista a Nicola Gratteri, Sostituto procuratore della Repubblica di Reggio Calabria

Occorre una nuova ‘filosofia’ normativa

di Maria Luisa Campise e Giannetto Mancini


Dal 1987 impegnato sul fronte della legalità, Nicola Gratteri, classe 1958, sostituto procuratore antimafia di Reggio Calabria, è uno dei magistrati più noti, titolare, tra l’altro, delle maggiori inchieste sulle Ndrangheta reggina. Nonostante sia da anni sotto tiro della criminalità - anche per le numerose operazioni condotte contro il traffico internazionale di stupefacenti (motivi di sicurezza lo hanno, più volte, costretto ad allentarsi dalla sua famiglia!) - Gratteri continua, determinato com’è, a lavorare nel suo ufficio presso la Procura della Repubblica di Reggio Calabria “per fare qualcosa di concreto per la Sua terra”. In questa intervista, rilasciata a margine del convegno di Locri (vedi pag. 58 di questo giornale), mette a nudo la cruda realtà mafiosa e non solo…


Dalla sua esperienza, è possibile dare una definizione di criminalità organizzata?

La criminalità organizzata è uno “stato dentro lo Stato” che cerca di utilizzare tutto quello che è il materiale e l’immateriale nella disponibilità dell’uomo, per la sua esistenza e prosperità. La criminalità organizzata usa tutti gli strumenti possibili per ottenere il massimo controllo del controllabile. Tutto ciò che esiste, la criminalità organizzata vuole appropriarsene. Dove c’ è denaro e potere, là c’è la criminalità per averne il controllo.

Perché la ‘Ndrangheta oggi è l’ organizzazione più potente? È solo dovuto alla sua particolare struttura oppure anche lo Stato ha delle responsabilità?

La ‘Ndrangheta è forte soprattutto perché il legislatore non ha capito o non ha voluto capire la sua grande pervasività nella struttura sociale. Il politico interviene quando c’è un movimento di opinione, quando i giornali nazionali scrivono per diversi giorni sullo stesso tema. Interviene quando è costretto ad intervenire e lo fa nel modo più visibile possibile. Mentre la criminalità opera nel massimo della mimetizzazione, lo Stato pubblicizza al massimo quel minimo che fa perché vi deve essere un ritorno di immagine immediata.

Come lo Stato può e deve combattere la ‘Ndrangheta? Occorrono secondo Lei leggi più severe?

Negli anni dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio lo Stato è stato costretto a reagire perché ne era in discussione proprio l’essenza stessa dello Stato e l’essenza stessa della democrazia. Allora sono state fatte leggi, modifiche normative, sono stati posti in essere dei provvedimenti (quali l’istituzione del 41bis: il carcere duro), che hanno messo in crisi la criminalità organizzata in genere, anche se quella che ha subito più colpi è stata Cosa Nostra, perché essendo strutturata in maniera piramidale, bastava parlasse uno e crollava tutto. Cosa Nostra ha fatto entrare nella propria organizzazione anche gente estranea alla tradizione mafiosa degli avi, gente che non si era nutrita di cultura mafiosa sin dall’infanzia e quindi nel momento in cui c’è stata l’offensiva dello Stato e sono stati arrestati e condannati a pene che hanno superato i venti anni, questi vacillarono e diventarono collaboratori di giustizia (Cosa Nostra ha avuto più di 900 collaboratori di giustizia negli anni ’90; la ‘Ndrangheta ne ha avuti 40: solo 2 capi-locali, tutti gli altri piccoli ‘ndranghetisti). Questa differenza si spiega soprattutto per come erano strutturate le due organizzazioni: la ‘Ndrangheta era strutturata in modo familistico: se un soggetto avesse fatto il collaboratore di giustizia, avrebbe dovuto prima parlare di 200-300 parenti e poi di tutti gli altri. Quindi era praticamente impossibile trovare un collaboratore di giustizia. In sostanza in Calabria hanno collaborato corrieri di droga, killer, ma nessun rappresentante dei locali più prestigiosi. Poi va considerato il carattere del calabrese: molto chiuso, duro, crudo, disposto anche a soffrire perché gli è stata inculcata l’osservanza ortodossa delle regole. Nella ‘Ndrangheta è fondamentale il rispetto delle regole: è quasi una mania, un’ossessione perché senza di esso ne verrebbe meno l’esistenza stessa della ‘Ndrangheta. Meno si osservano le regole, meno efficienza c’è.

Cosa può e deve fare lo Stato secondo Lei?

Cambiare il codice penale, il codice di procedura penale, l’ordinamento penitenziario, potenziare l’ordinario e poi capire se c’è bisogno dello straordinario. Se non si fanno le modifiche normative è inutile parlarci addosso, è inutile che i politici dicono che i cittadini devono stare più vicini alle istituzioni, io dico sono le istituzioni che devono fare due passi avanti, devono dimostrare di essere seri, di meritare la fiducia dei cittadini e poi i cittadini si avvicineranno alle istituzioni. Se noi (lo Stato) non siamo credibili, seri, non possiamo pretendere che i cittadini abbiano fiducia nelle istituzioni. La ciliegina sulla torta dal punto di vista normativo dal 92 ad oggi è stato il “patteggiamento allargato”: se per pene edittali che vanno da 20 a 30 anni, in appello si danno 7 anni di carcere capiamo che il sistema è ridicolo, che il sistema non va bene. Poi secondo me andrebbe rivista anche la filosofia ispiratrice delle modifiche normative, che fino ad oggi si è preoccupata solo della tutela del singolo non considerando il grado di invivibilità della collettività, perché io non mi sento in uno Stato libero e democratico se non posso scegliere quale impresa mi costruirà la casa, se non posso scegliere dove andare a comprare i prodotti, se c’è quasi un sistema di oligopolio nella distribuzione del terziario.

Come le organizzazioni si sono attrezzate o modificate in seguito al fenomeno del pentitismo per affrontarlo? Sono o non sono cambiate le norme degli ordinamenti mafiosi?

Sono stati istituiti dei nuovi gradi per creare una sorta di élite. La ‘ndrangheta negli anni ‘70 ha creato il grado del Vangelo e tra l’altro c’è stata una lunga discussione all’interno dei locali di ‘Ndrangheta per stabilire se i gradi dati nei locali del Nord (es. Varese, Buccinasco, Volpiano) avessero la stessa valenza, la stessa nobiltà dei gradi di ‘Ndrangheta dati a San Luca, Africo, Platì. Si è giunti a quella che storicamente può essere indicata come “l’unificazione delle cariche del Vangelo” e quindi si è stabilita una sorta di pari dignità tra i ‘locali’ della ‘Ndrangheta che si trovano al Sud e quelli che si trovano al Nord. Poi sono stati creati altri gradi: la Santa, il Trequartino, il Quartino come dei cerchi concentrici: le strategie criminali più intime e importanti, le più gravi (es. gli omicidi eccellenti) non dovevano essere messe a conoscenza di tutto il locale; ma solo dei maggiori rappresentanti del locale o dei maggiori capi-locali della zona, perché all’interno del territorio dove regna un ‘locale’ quest’ultimo è padrone assoluto, ma nella gerarchia dei locali vi sono quelli più nobili, più importanti, antichi. Certo quella che ha più sentito i colpi inferti dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia è stata Cosa Nostra e quindi è ovvio che a quel punto si è chiusa comunicando le novità non a tutta la struttura piramidale, ma cominciò a muoversi, ad operare a compartamenti stagni: sapeva solo chi doveva compiere un atto, non tutti dovevano sapere quello che accadeva. Il capomandamento che arrivava alla decisione finale impartiva poi l’ordine a colui che doveva eseguirlo, ma non tutti dovevano sapere. La stessa cosa faceva il capodecina: dava l’ordine solo all’esecutore materiale, non tutta la decina doveva sapere quello che sarebbe accaduto. In pratica si è cercato di affrontare il pentitismo essendo molto più riservati, si è stati molto più attenti anche alle affiliazioni, anzi si è deciso ad un certo punto dentro Cosa Nostra di non fare più il rito di affiliazione, ma di considerare affiliato il soggetto che si riteneva avesse i requisiti per poter essere uomo di onore. Il rito di affiliazione non avveniva alla presenza di tutti gli appartenenti all’organizzazione per tenere segreto chi fosse il nuovo affiliato e nel caso in cui qualcuno degli altri associati fosse diventato in futuro collaboratore di giustizia, non avrebbe fatto il nome del nuovo affiliato perché non poteva sapere chi fosse. Ci sono stati diversi affiliati di Cosa Nostra non battezzati con il rito di affiliazione, ma comunque ritenuti uomini d’onore perché nominati direttamente dal capo dell’organizzazione.

Come si è riorganizzata la mafia in seguito alla reazione dello Stato?

Cosa Nostra si è riorganizzata bene nel senso che ha capito che lo scontro con lo Stato non serve; solo quel “pazzo” di Riina poteva pensare di attaccare frontalmente lo Stato.
Riina è l’uomo più odiato da Cosa Nostra perché se non si fosse messo in testa lo stragismo, se non avesse avuto quel delirio di onnipotenza che ha avuto, non ci sarebbe stata la legislazione antimafia, non ci sarebbero state le procure distrettuali, la Procura nazionale, la DIA, non ci sarebbe stata la risposta dello Stato.
A Cosa Nostra una grande lezione l’ha data la ‘Ndrangheta che ha sempre evitato scontri con le Istituzioni.

Ma allora anche la ‘Ndrangheta ha cambiato strategia visto che l’omicidio Fortugno è stato un attacco alle Istituzioni?

Sull’omicidio Fortugno non posso dire nulla perché sono ancora in corso le indagini, ma vorrei soffermarmi sulla reazione dello Stato a questo omicidio. Si è parlato di più di ‘Ndrangheta, ma concretamente non è successo nulla, concretamente lo Stato non ha risposto. Sono stati suggeriti come mezzi per arginare la criminalità un Super-prefetto e l’esercito. Questo mi ha scandalizzato molto.
Per fortuna non è stato mandato l’esercito perché questo non avrebbe fatto altro che allontanare quei pochi turisti che in estate vengono in Calabria. Chi considera la criminalità organizzata, la ‘Ndrangheta un’emergenza si sbaglia, perché Cosa Nostra, la ‘Ndrangheta e la Camorra esistono da secoli e quindi non vanno combattute con strumenti estemporanei, con legislazioni di emergenza…
Ma questa volta non c’è stato nulla. In altre occasioni in cui sono state uccise le c.d. persone eccellenti vi sono state delle reazioni anche dal punto di vista normativo, ci sono stati decreti-legge. Questa volta neppure un decreto-legge è stato fatto.
Io ho criticato molto questo atteggiamento dello Stato: sono indignato perché come calabrese mi sento preso in giro nuovamente. Per più di un mese lo Stato ha messo ogni 5 km un posto di blocco, ma veramente pensiamo che la lotta alla ‘Ndrangheta sia la caccia alla volpe all’inglese, ma veramente pensiamo che sia questo il controllo del territorio? Non è il controllo fisico ogni 5 km, né un posto di blocco che argina la ‘Ndrangheta! La ‘Ndrangheta non è la camorra dei bassi napoletani, non è l’ uomo coi baffi, con la coppola, che va in giro con la lupara e quindi lo riconosci e lo arresti.
La ‘Ndrangheta è qualcosa di molto, ma molto più raffinato e quando assisto a questo tipo di provvedimenti e nessuno reagisce, nessuno capisce o chi capisce sta zitto io mi indigno. Non è vero che il Governo sta rispondendo perché anche quando sono venuti in Calabria io ho parlato di “passerelle” di politici, perché quello di cui noi abbiamo urgente bisogno sono le modifiche normative.

Esiste una mentalità per poter cambiare le cose?

Io credo che la scuola dovrebbe fare molto di più, dovrebbero essere destinati più soldi e fare le scuole a tempo pieno: questo per impedire che i bambini stiano troppo a casa.
È duro da dire, lo so, ma nei paesi ad alta densità mafiosa questi bambini respirano, si nutrono di cultura mafiosa e quindi trascorrendo più tempo a scuola vedrebbero meno atteggiamenti di sopraffazione, sentirebbero meno discorsi di mafia, di violenza. Altrimenti saranno bambini segnati, destinati a diventare mafiosi.
Il consiglio che mi sento di dare ai ragazzi è quello di studiare perché può essere l’unica arma di riscatto!!!
E poi lo Stato dovrebbe creare posti reali di lavoro. Comunque penso che alla base di tutto ci siano le modifiche normative, altrimenti continueremo a parlarci addosso, cambiando aggettivi e sostantivi, ma diremo sempre le stesse cose.

I dottori commercialisti in che modo possono contribuire nella lotta alla mafia?

I dottori commercialisti sono come il confessore per i cristiani, sanno quasi tutto, anche ciò che riguarda l’evasione fiscale. Mi auguro che no sappiano di riciclaggio. Comunque non si può pretendere che i dottori commercialisti facciano i delatori.
Possono comunque proporre, quali specialisti di settore, riforme normative che comprimano i margini di manovra di chi vuole violare le leggi.

Giovanni Falcone diceva: “La mafia è come l’uomo: nasce, cresce e avrà una fine!” Lei condivide questa opinione?

No! Falcone era ottimista: io dentro sono anche ottimista, ma sono più realista, più pragmatico. Penso che la mafia morirà con l’uomo perché è nella natura dell’uomo essere mafioso.
Potremmo, se ci fosse una inversione di tendenza di chi fa le leggi, creando un sistema normativo forte. Allora la gente di medio coraggio sarebbe stimolata a prendere posizione, ad essere più forte e quindi non diventare coniglio. L’uomo ha bisogno di vedere risultati, comportamenti, azioni. La gente non crede, è disincantata dalle parole.
Il popolo crede negli uomini forti, nei condottieri, però se questi producono risultati.
L’attuale società è debole, non conosce il sacrificio, la rinuncia, vive di effimero, di consumismo, dell’apparire e non dell’essere e quindi tende più ad addormentarsi, a sognare perché la realtà è difficile, è triste, è dura e ci fa soffrire.
Se si riuscisse a creare un sistema di certezze, di “gabbie”, la gente si sveglierebbe e prenderebbe posizione. Sono pessimista perché non vedo una volontà politica di cambiare le leggi né nel centro destra, né nel centro sinistra.

Lei è in primo piano nella lotta alla ‘Ndrangheta. Oltre all’alto senso dovere che la contraddistingue, al desiderio di giustizia, al bene per la Calabria, cosa La spinge a continuare nonostante le minacce ricevute e i sacrifici cui Lei e la Sua famiglia siete sottoposti?

Quando ho vinto il concorso in magistratura ero in buona posizione in graduatoria e avrei potuto scegliere di andare in posti molto belli: ricordo Sanremo, Venezia, Brescia.
Ho preferito venire qui in Calabria, perché in fondo il posto più bello è quello dove si è nati. Io ho pensato di fare qualcosa di concreto per questa terra!!!

1 commento:

pedritoya ha detto...

intervista da: http://www.cndc.it/CNDC/Documenti/gdc/200607/intervista04.htm