lunedì 28 gennaio 2008

CARMINE DONATELLI CROCCO: IL FIERO GENERALE DEL BUON RE FRANCESCO

Carmine Donatelli nacque a Rionero (Potenza), fu nel 1852 soldato disertore e poi capo di una banda di briganti. Arrestato e condannato a 19 anni di ferri, evase dal carcere di Brindisi di Montagna e si unì agli insorti guidati da Pasquale Catena. Fu nuovamente arrestato e rinchiuso nel carcere di Cerignola dal quale evase aiutato da don Anselmo Fortunato. Divenne colonnello dell'esercito che sosteneva il ritorno della famiglia Borbone, gli fu affidato l'incarico di reclutare e raccogliere i soldati di Francesco II, sparsi nel sud Italia. Crocco raccoglie circa ottomila uomini e si nasconde nei boschi di Lagopesole. Di qui parte l'attacco a Ripacandida (Potenza) dove viene ucciso il capitano della Guardia Nazionale. Intanto a Melfi (Potenza) viene cacciato il vicegovernatore e innalzato il vessillo borbonico; così avvenne anche nei paesi del materano e del lagonegrese. Dopo essere stato accolto dalle popolazioni del vulture - melfese, Crocco fu tradito da quanti prima lo avevano sostenuto, fino a quando viene catturato per mano delle truppe pontificie a Veroli (Frosinone); arrestato e rinchiuso nelle carceri di Roma. L'11 Settembre 1872 fu condannato a morte a Potenza, ma riuscì a scontare il carcere a vita nel penitenziario di Portoferraio, dove divenne uomo di lettere e scrisse le sue memorie.

Abilmente preparato il moto reazionario scoppiò il 7 aprile alla Ginestra. Contadini, pastori, cittadini di ogni eta' e condizione al grido "Viva Francesco II", corsero ad armarsi di fucile, di scure, di attrezzi colonici e in massa compatta avanzammo su Ripacandida. La notizia che le guardie mobili di Avigliano e Rionero movevano unite contro di noi, portò un po' di sgomento nella mia gente; conveniva a me, all'inizio della spedizione, non espormi ad una facile sconfitta, affrontando i militi nazionali in aperta campagna. Una disfatta anche parziale avrebbe influito enormemente sullo spirito delle popolazioni, facendo svaporare quell'entusiasmo popolare, ch'io con tanto lavoro segreto, avevo grado a grado saputo destare per ogni dove. Ad una lotta aperta e cruenta preferii la guerra d'astuzia, per cui, lasciata la via, mi internai nei boschi ove sarebbe stato facile l'agguato e la vittoria. La Ginestra era il mio impero, la sede sicura, il centro della mia forza, e di la' mossi risoluto su Ripacandida. Attaccai violentemente ed in breve fui padrone della caserma dei militi e in possesso delle loro armi. La folla selvaggia ch'io comandavo non aveva freno, né a me conveniva mitigarla. Quella mia condiscendenza alla distruzione, al saccheggio, era fomite per me di maggior forza avvenire, l'esempio del fatto bottino traeva dalla mia altri proseliti anelanti di guadagnar fortuna col sangue. Lasciai quindi ognuno libero di se' ordinando solo si rispettassero le famiglie dei nostri compagni d'armi. Nel conflitto avuto coi militi paesani, il loro capo era caduto morto, il cadavere di costui trascinato per le vie venne portato innanzi all'abitazione della famiglia sua mentre la folla ne saccheggiava la casa. Durò per più ore - la baldoria ed il ladroneggio e solo verso sera pensai a riordinare quell'orda ubbriaca. Prima cura fu quella di decretare decaduta l'autorità imperante, e chiamato a consiglio i caporioni, nominai una giunta provvisoria che doveva sedere al municipio e di là emanare decreti e proclami. Volli che per le chiese venisse cantato il Tedeum in onore della vittoria e si abbattessero tutti gli stemmi del nuovo governo innalzando quelli, già abbandonati, del Borbone. Da Ripacandida a Barile breve è il cammino; numerose sollecitazioni mi chiamavano colà a liberare la plebe dalle sozzure dei ricchi prepotenti, per cui mossi tosto per quella volta, e, preso possesso del paese, ne ordinai il governo come avevo fatto per Ripacandida. Le vittorie di quei primi giorni se avevano allarmato, non a torto, i signori, avevano per altro affezionato alla mia causa migliaia di contadini, cosi che correvano à me da ogni dove a stuolo numerosi armati per mettersi ai miei ordini. Compresi come dovessi, senza perder tempo, prendere possesso di centri più importanti, per cui inviai alcuni fidi in Venosa perché mi preparassero il terreno. Ed il mattino del giorno 10 col mio piccolo esercito di predatori mossi alla conquista della vetusta Venusia. Sapevo che la città (8000 abitanti) era preparata a difesa e che in aiuto della guardia civica erano giunti i militi di Palazzo S. Gervasio, ma sapevo altresì che in paese la mia venuta era attesa da molte persone, e che queste non erano tutte del popolo, ma in buona parte signori. A mezza via fui informato che la milizia civica, allarmata dalla forza che era ai miei ordini, aveva deciso chiudere le porte, asserragliare le vie, portandosi ad occupare il castello. Giunto in vicinanza della città, ripartii la mia forza in diversi gruppi a cadauno dei quali assegnai un settore di attacco; mentre ero occupato in tale operazione, vidi sventolare dall'alto delle chiese alcune bandieruole bianche, segnale a me ben noto, per cui ordinai senz'altro l'attacco. Ma fu un attacco incruento, poiché scavalcate le mura mi vennero aperte le porte senza colpo ferire, ed io entrai coi miei occupando subito la piazza principale, di dove mossi per assalire il castello. Dalle grida di gioia e di furore dei miei, a cui faceva eco l'acclamazione popolare, la difesa comprese tosto essere vano ogni suo sforzo; pochi colpi di fucile sparati contro la mura ebbero il merito di ottenere una resa a discrezione, sotto promessa di lasciar a tutti la vita. Venosa era mia ed in men che non si dica io ricevevo le congratulazioni dei maggiorenti, mentre a migliaia affluivano a me le suppliche d'ogni genere e specie. Prima mia cura fu di spalancare le carceri, nominare un consiglio reggente e pubblicare il nome delle persone che dovevano aver rispettate la proprietà e la vita, pena la morte ai trasgressori. Dal 10 al 14 io rimasi coi miei in Venosa spogliando, depredando, imponendo taglie, distruggendo uomini e case, facendo man bassa su tutti coloro che erano nemici della reazione. Dopo Venosa era stata decisa l'occupazione di Melfi, dove i nostri amici avevano tutto preparato perché fossi accolto cogli onori dovuti al mio grado. Il 14 aprile 1861 lasciai Venosa e mi gettai su Lavello accolto da quella popolazione al grido " Viva Francesco II ". Raccolto in paese quel poco che ci fu dato trovare, stante le poche risorse sue e nominata la solita Commissione a governo del Municipio, mi affrettai avanzare su Melfi che con plebiscito popolare aveva decretato decaduto il potere regio. Fra le non poche soddisfazioni ch'io pure provai nell'avventurosa mia vita, io ricordo con viva compiacenza la maggiore, la più splendida, quella cioè che accompagnò il mio ingresso nella città di Melfi, capoluogo di circondano. A qualcuno, leggendo queste memorie, potrà apparire esagerato il mio scritto, ma giuro non sul mio onore, ma sulla sacra memoria di mia madre, che non esagero, che non mento, e d'altronde credo che parleranno di ciò i documenti ufficiali. Ai piedi della non breve salita che, staccandosi dalla rotabile, conduce alla porta principale, fui accolto, al suono delle musiche, da un comitato composto delle persone più facoltose della città, mentre suonavano a distesa le campane a festa, e dai balconi, gremiti di persone e parati con arazzi variopinti, le donne lanciavano fiori e baci. Giunto sulla piazza principale il signor... dall'alto del sontuoso suo palazzo dopo un acconcio discorso inneggiante le virtù e le glorie del governo Borbonico, invitò il popolo ad acclamare in Crocco, il fiero generale del buon Re Francesco II. Rispose a quell'invito un triplicato "Evviva a Crocco", mentre sparavano per le vie i mortaretti in segno di maggior contento. Nella chiesa, addobbata riccamente per me, era stata esposta la Madonna del Carmine, perché io rendessi omaggio devoto alla Vergine che mi aveva protetto portandomi vincitore e illeso dopo tante ed aspre lotte. Alla sera del mio ingresso per tutta la città vi furono luminarie, feste, balli e baldoria...

FONTE DA : www.brigantaggio.net Note autobiografiche di Carmine Crocco, Melfi 1903

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