sabato 26 gennaio 2008

BRIGANTAGGIO IN CALABRIA PROVINCIA DI REGGIO

Calabria ultra olim Altera Magnae Graeciae pars.



Del circondario di Gerace era segnalato un Tommaso Romeo di Castelvetere e sui contrafforti dell’ultimo Appennino un Ferdinando Mittica di Platì: arrestato una volta dalle guardie di Ardore e chiuso in carcere a Gerace, fuggì e riuscì a formare un gruppo di contadini e soldati del vecchio esercito. Non si arrese nemmeno agli ordini del ricco liberale Francesco Oliva che aveva il compito di persuadere il brigante a sciogliere la comitiva, ma non si mosse perché avvertito che gli era stato teso un agguato tra le montagne di Cirella.

Dopo il 1861 la rivolta, scoppiata in tutto il territorio calabrese ed era fomentata dalle forze ostili all’unitificazione, come lo stato pontificio, la monarchia borbonica e i gruppi legittimisti di altri paesi. Lo Stato sabaudo per domare la ribellione impiegò 120.000 uomini e sottopose a dure rappresaglie la popolazione delle campagne. 53 paesi furono rasi al suolo, fucilazioni di massa, strupri. Il prefetto Cornero informava, in data 16 febbraio 1862, i Prefetti, i Sindaci, i Tesorieri, i Ricevitori e i Cassieri della provincia della Calabria Ultra Prima che il Ministero dell’interno stava per nominare una Commissione in Napoli coll’incarico di amministrare e distribuire le somme che si stavano raccogliendo a titolo di sottoscrizione per estirpare il "brigantaggio". Il 31 agosto dello stesso anno il generale d’armata, regio Commissario straordinario per le province siciliane, Cialdini, impartiva ai Comandanti delle divisioni e sotto Divisioni militari e ai Comandanti di corpi di truppa delle disposizioni su come sgominare i briganti. Ordinava tra l’altro che tutti gli avanzi delle bande garibaldine sarebbero stati considerati prigionieri di guerra, e come tali trattati, quando si fossero consegnati ad un’autorità militare nel termine di cinque giorni dalla pubblicazione del manifesto. Trascorso tale termine, sarebbero stati considerati come briganti. Nonostante i provvedimenti restrittivi, fenomeni di brigantaggio esplosero in tutti i distretti della Calabria Ultra e Citra, e furono segnalati telegraficamente. Un telegramma del 13 luglio 1864 informava i Carabinieri di Polistena e Cinquefrondi che il giorno precedente era avvenuto nel territorio di Mammola un conflitto tra dieci briganti e tre cittadini diretti alla fiera di Soriano, dei quali uno era rimasto morto, e un altro a nome Nicola di Domenico di Castelvetere ferito e spogliato si era rifugiato nel territorio di Maropati, nella casina di Vincenzo Cordiano. Si ignorava dove si fosse diretto il terzo. Si aggiungeva che si erano avute assicurazioni da Michele Manno fu Rocco di Giffone che non si conosceva la direzione presa dai briganti. Nella stessa data il Sindaco di Cinquefrondi telegrafava al Prefetto di Reggio di aver riferito al Capitano della terza Compagnia di Maropati che il 12 luglio era avvenuto un conflitto sulle montagne di Mammola in Contrada Croceferata con una banda di 10 "briganti" che dal vestire e dal linguaggio sembravano cosentini. Ma il giorno dopo, cioè il 14 luglio 1864, perveniva una smentita da parte del Sottoprefetto Giusti al Prefetto di Reggio Calabria. Il telegramma chiariva che non era mai comparsa la comitiva brigantesca sulle montagne di Mammola e aggiungeva: "Anche carabinieri hanno fatto assicurazioni simili. Trattasi affare privato. Nicola Taranto da Castelvetere trovasi già arrestato da carabinieri qual imputato di omicidio nel fatto che ha dato vita alla diceria comparsa comitive". In pari data il sottoprefetto Sicardi informava il Prefetto di Reggio che il Sindaco di Mammola aveva assicurato che quel tenimento era tranquillissimo. Non si riscontrava alcuno armato. "Di tal che forze regolari spedite neppur perlustrano montagne ove ieri guardaboschi sequestrarono un uomo ed un animale per danni forestali". In merito a Nicola Taranto il Prefetto telegrafava al Sottoprefetto di Palmi che quegli era stato arrestato dai carabinieri e ferito con palline sulla fronte. Sottolineava che l’imputato aveva riferito "non esistere voluto brigantaggio, essere stato ieri ore 16 aggredito nel suo fondo, poco distante da Castelvetere da Pietro Ciricosta, Domenico Nesci ed Ilario Capece suoi paesani, i due primi armati di fucili militari, l’ultimo di ronca, mandati da Ilario Ieraci per ammazzarlo. Sparò anch’egli un colpo di fucile e fuggì. Vuolsi uno morto. Sembrano svaniti i sospetti banda armata". Lo stesso Prefetto scriveva inoltre ai Procuratori di Gerace e di Palmi, confermando che non si era trattato di una banda di briganti, ma di un conflitto d’armi per inimicizia personale. Richiamava, perciò, l’attenzione sulle voci allarmanti di "presunte apparizioni di briganti e di bande armate di Mammola, che si ripetono con insistenza e forse col maligno scopo di suscitare allarmi". Si impegnava, quindi, di interessare il Pubblico Ministero ad aprire una formale inchiesta giudiziaria per scoprire i colpevoli e ristabilire la pubblica sicurezza. Come si evince da altre lettere successive, come per esempio da quella inviata il 20 dicembre 1889 dal Sottoprefetto del Circondario di Gerace al Prefetto, alcuni cittadini scontenti delle nuove sanzioni economiche, delle leggi sull’imposta che colpivano le classi povere, fomentavano l’ambiente. Si ribadisce, perciò, l’inesistenza di briganti nel territorio di Mammola e si definisce "sogno di mente inferma" un cartello affisso nella cittadina, che probabilmente denunciava fatti turbativi. La lettera suddetta concludeva infondendo fiducia nella Sicurezza Pubblica che procedeva di bene in meglio "avendo spiegata una sollecitudine commendevole". Assicurava, altresì che aveva richiamato i sindaci "all’esatta osservanza del debito che loro incombe di far rapporti giornalieri, nonché pronte circonstanziate relazioni dei fatti criminosi, degli avvenimenti fortuiti e di ogni altro rimarchevole accaduto". In altri rapporti fatti dal Sottoprefetto del Circondario di Gerace al Prefetto si comunicava che gli episodi delinquenziali provenivano dalla provincia di Catanzaro "funestata dal brigantaggio", con cui confina. In particolare, il 14 ottobre 1864, il Sindaco di Monasterace avvisava che "una banda di otto grassatori armati di tutto punto aveva aggredito la ciurma di Santoro Michele, mentre raccoglieva agrumi nelle vicinanze di fiume Assi che divide questo Circondario da quello di Catanzaro. Il Santoro erasi salvato con la fuga, ricoverandosi in Monasterace". Si era scoperto che una comitiva di sei persone era apparsa il giorno precedente nella contrada Botteria, territorio del confinante Comune di Guardavalle, per sequestrare il Santoro, ma avendo colà trovato una resistenza inattesa si era spinto oltre il fiume Asse invadendo il mandamento di Stilo. Il comandante delle Guardie nazionali di Stilo, Crea Bono, spedì diversi esploratori per raccogliere notizie intorno alla direzione presa dai malviventi, e dispose dei movimenti di milizie cittadine e dei carabinieri da eseguirsi di concerto con i funzionari della seconda Calabria. Nel suo rapporto definiva brigantesca comitiva quella che aveva tentato il rapimento, ed indigeni ladruncoli gli individui veduti il 28 settembre e il 3 ottobre in Stignano e Placanica. Nel 1865 cresceva il sospetto sul brigantaggio tant’ è che il Maggiore Pallavicini ordinò l’impiego delle Guardie nazionali, perché molte milizie cittadine avevano abbandonato la persecuzione dei briganti all’azione isolata dei soldati. La sottoprefettura del Circondario di Gerace fu incaricata il 5 aprile del 1865 di diramare ordini precisi con appositi corrieri ai Sindaci dei paesi di Stilo, Bivongi, Pazzano, Camini, Monasterace, Riace, Stignano, Grotteria, San Giovanni, Gioiosa, Martone, Mammola, Caulonia e al Maggiore della Guardia Nazionale di Stilo, i quali avevano assicurato "di aver disposto continue e benintese perlustrazioni in modo da respingere qualsiasi invasione di malviventi, dietro i necessari accordi colle rispettive Stazioni di Reali Carabinieri e comuni viciniori". La lettera inviata al Prefetto puntualizzava che il Sindaco e il Maggiore della Milizia cittadina di Stilo avevano dichiarato di essersi messi d’accordo con i delegati di Badolato e Serra, con i sindaci, le Guardie nazionali e i Carabinieri più vicini a quel territorio della limitrofa provincia di Catanzaro. Il consigliere reggente della Sottoprefettura del Circondario di Gerace aggiungeva "ho fiducia che il brigantaggio se anche perseguitato cercasse di spingersi in questo Circondario, ne verrebbe immediatamente respinto ed oppresso". Sempre nel 1865 da un rapporto eseguito dalla Prefettura scaturisce che a Mammola, anche se non venivano segnalati fatti di rilievo per quanto riguarda scontri e rappresaglie, sussistevano contrasti sociali e diatribe tra opposte fazioni. Infatti ecco cosa si scrive: "E’ un capoluogo di mandamento segnalato per spirito reazionario. Vi sono due partiti estremi: il Repubblicano ed il reazionario borbonico. Il primo (che si dice costituitosi in loggia massonica) è rappresentato dai signori: Piccolo Giuseppe medico; Agostino Carmelo medico; Piccolo Fortunato possidente; Carabetta Francesco sacerdote; Colaci Pasquale ufficiale; Albanese Antonio sacerdote e Bruzzese Nicodemo pittore. Essi tengono spesso delle riunioni specialmente nell’Ufficio postale e sono in corrispondenza col Calfapietra di Bovalino, il quale suole avere convegno fuori del paese. Il partito clericale borbonico sarebbe rappresentato dai Signori Scala Domenico e Cav. Spina La Scala. La Scala era sotto ufficiale nel disciolto esercito borbonico-capo d’ufficio di Intendenza per favore sovrano; dopo il 1860 emigrò in Roma, ove visse a spese dell’ex re Francesco secondo. A Napoli fu carcerato. In Mammola tuttora dimora il sedicente gentiluomo toscano sig. Conte Bordioli, cavaliere e agente del suddito spagnolo Conte Mathien di cui amministra i tenimenti in vicinanza di quel comune. E’ un personaggio sempre misterioso, malvisto in paese, da taluni segnalato per borbonico, da altri per murattista."

fonti da: www.sosed.it e dagli archivi di Reggi Calabria

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